Alesina e Giavazzi, pp.142 Il Saggiatore, EURI 12 |
Paul Krugman, pp.219 Garzanti, EURI 16,60 |
Giulio Sapelli, pp. 64 Bollati Borighieri, EURI 7 |
Mi è apparso del tutto insufficiente La crisi economica mondiale di Sapelli, che in 64 pagine si preoccupa molto di lanciare i propri strali verso il nuovo capitalismo d’assalto e poco di chiarire l’argomento che dovrebbe essere al centro del suo saggio. Condivisibile l’attacco ad un capitalismo fondato sulla rendita e non sugli investimenti produttivi, così come le preoccupazioni neoprotezionistiche. Francamente sterili gli slanci nostalgici verso un mercato eticamente-autoorientato. Ve lo ricordate il caro buon capilismo etico che sapeva conciliare crescita, redistribuzione e rispetto della persona? Neanch’io, eppure Sapelli insegue questo fantasma come quello di un’infanzia felice dell’Occidente di cui ormai teme il tramonto. Dal mio punto di vista economia ed etica non sono necessariamente ossimorici, ma nel capitalismo nelle varie forme in cui lo abbiamo conosciuto sono per lo più categorie indipendenti e spesso conflittuali, l’autorientamento etico del mercato poi è una chimera di cui non vi è praticamente traccia nella storia.
Ideologico, prematuro e frettoloso il testo di Alesina e Giavazzi, La crisi Può la politica salvare il mondo?. Entrambi gli autori sono ferventi sostenitori nostrani di ogni pratica neoliberista affermatasi di recente oltre che abii divulgatori di questo presso la sinistra italiana, con gli esiti brillanti che si conoscono, a cominciare dal loro precedente ed eloquente titolo, Il liberismo è di sinistra. Il teso è prematuro perché si affretta a minimizzare gli effetti della crisi, riassunti nella perdita di "qualche punto di PIL", mentre oggi basterebbe guardare i risultati dell’Italia: -1% 2008, -6% 2009 e ancora incognito nel 2010, ma in pochi se lo aspettano positivo. Non male per un paese che per quasi dieci anni è stato in completa stagnazione (crescita mai superiore al 2% e spesso attestatasi sullo 0 virgola") e resta cmunque ben lontano dall’epicentro della crisi. Frettoloso in quanto liquida questioni complesse con analisi sommarie, come l’assunto che i rimbalzi del prezzo del petrolio non abbiano nulla a che fare con le speculazioni finanziarie sui futures, mentre resta difficile capire come il semplice meccanismo domanda/offerta possa portare un barile dai 30 ai 160 dollari e poi di nuovo ai 40 in pochi mesi, senza stravoglimenti evidenti dal lato della produzione e dunque dell’offerta: l’OPEC pompa sempre soliti 85 milioni di barili/giorno con variazioni periodiche di alcune centinania di migliaia di barili. Ideologico in quanto preoccupatissimo di salvare tutti gli strumenti del capitalismo recente (come futures e derivati), indipendentemente dall’uso che se ne sia fatto, pur di tenere l’economia lontana dalle unte e lerce mani della politica che, sottotraccia, è il vero responsabile di tutto, capace soltanto di peggiorare lo stato economico con qualunque tipo di intervento non puramente regolatorio e di stampo liberale, in uno slancio manicheo francamente incomprensibile all’atto di un’analisi che si vorrebbe tecnica. Comprensibili invece i timori per un avventato ritorno al protezionismo e l’accento posto sul controllo della leva finanziaria da parte degli istituti di credito.
Più interessante, accattivante e probabilemnte utile Il ritorno all’economia della depressione e la crisi del 2008 del recente Nobel Paul Krugman. Il testo è apparentemente meno organico in quanto rivisitazione ed estensione di un saggio scritto nel 1998 dopo la Crisi delle Tigri asiatiche, proprio per questo però è ricco di verifiche storiche su crisi recenti e quelle che cambiarono l’economia del 900, a cominciare dalla crisi dei Trust del 1904, nella quale Krugman rintraccia forti similitudini con la situazione attuale. Krugman critica la deregulation delle amministrazioni Clinton-Bush (fu consigliere della prima se non sbaglio) ma ancora di più pone l’accento sulla creazione e sulla successiva deriva di istituzioni finanziarie (banche di fatto) nate di recente e mai regolamentate prima, il cosidetto sistema bancario-ombra (shadow-banking). Duro anche l’attacco, ma qui krugman è in buona compagnia, all’amministrazione della FED dell’ultimo Greenspan e ardita, infine, la parziale riabilitazione della disastrosa gestione Hoover ai tempi della crisi del 1929. Krugman per l’ampia analisi storica e per la capacità di proporre teorie di ampio respiro , a cominciare dalla riabilitazione del protezionismo nel caso di paesi in via di sviluppo forzati all’apertura dei mercati da forze esterne (vero leit motiv della Globalizzazione), è l’unico che sembri in grado di abbracciare l’orizzonte storico della crisi nelle sue componenti economiche e politiche, senza necessariamente difendere dogmi oggi quantomai traballanti.
Voto: NC come su Ozia avviene spesso per i saggi, peccato che l’unico tra i tre che mi sento di consigliare sia anche il più indecorosamente costoso.